Visione e memoria
(di Nicolò Sportaro)Il dr. Bates attribuiva un’importanza fondamentale al ruolo
della memoria come aiuto alla visione. Ciò sicuramente a seguito
dalla sua vicenda personale, nel corso della quale egli stesso
fu aiutato a vincere la presbiopia proprio dalla memoria di una
piccola area nera.
Senza ripercorrere ogni tappa del suo pensiero, si può
facilmente verificare che molte delle sue intuizioni risultano
confermate dalle ricerche scientifiche più recenti.
Oggi sappiamo che esistono diverse modalità di funzionamento
della memoria; distinguiamo tra memoria a breve, medio e lungo
termine, individuando così archi temporali diversi e
progressivi. Ad esempio, la memoria a lungo termine può
permettere di risalire fino all’infanzia dell’individuo. E’ noto
che invece la memoria a breve termine è quella maggiormente
menomata in soggetti anziani e/o sofferenti di particolari
deficit cerebrali. Da questa osservazione possono scaturirne
altre, più approfondite, che illustrano i meccanismi del
processo visivo.
Quando guardiamo, nel tempo di pochi microsecondi, l’ambiente
esterno viene "scansionato" da rapidissimi movimenti oculari,
detti saccadi.
Le saccadi portano porzioni più o meno ampie di immagini in zona
parafoveale, cioè nella zona circostante il punto di massima
visione della nostra retina, detto appunto fovea. Questi
movimenti sono direttamente influenzati, in frequenza ed
ampiezza, dal tipo di compito visivo; tra l’altro, possono
essere rallentati, fin quasi a fermarsi, tramite un’azione
semi-volontaria. Di solito, non ci accorgiamo di questo
movimento, anche se è possibile acquisirne coscienza guardando,
per esempio, talune immagini reperibili sul web, in certi siti
sulle illusioni ottiche .
L’immagine, prodotta sulla retina e inviata al centro visivo,
verrà quindi elaborata per affiorare infine alla coscienza del
soggetto. Logicamente quella percepita dall’IO non è l’immagine
in sé, che, in quanto tale, non lo è più fin dal momento in cui
colpisce l’occhio, bensì la sua rielaborazione mnemonica,
l'unica che la nostra mente può riconoscere e soltanto a seguito
di esercitazioni continue, che prendono l'avvio fin dalla
primissima infanzia.
Quindi al centro visivo arriva continuamente non l’immagine, ma
l’immagine mediata dalla memoria.
Abbiamo pertanto un percorso che si sviluppa attraverso i
seguenti passaggi:
sensazione - saccadi -> scansione immagine -> retina ->
memoria immagine - centro visivo
Se rallentiamo la rapidità delle saccadi, come può avvenire
sotto l’influenza di tanti fattori, l’immagine "scansionata"
potrà presentare imperfezioni, ciononostante essa verrà
ugualmente inviata alla retina e la memoria provvederà senza
eccessivi problemi a ricostituire le parti mancanti.
Infatti la memoria è un elemento determinante. Se è vero che noi
percepiamo nitidamente solo una piccolissima area del campo
visivo, cioè la porzione che cade direttamente sulla fovea, è
anche vero che, nel caso di visione senza errori di rifrazione,
vediamo tutto l’insieme in modo nitido perché la memoria
ricostituisce l’intera immagine dando l’illusione della
nitidezza. Le parti visive mancanti vengono riformate dalla
memoria, in virtù di un compito di per sé facile in quanto, come
abbiamo visto, al centro visivo arriva sempre un’immagine
mnemonica, cioè continuamente ricostruita in base alle proprie
esperienze memorizzate.
Se insorgono alterazioni che indeboliscono la memoria, il
lavorìo che abbiamo fin qui descritto risulta gravemente
compromesso. Per non perdere una visione globale (che tra
l’altro, in condizioni di minaccia, è quella che maggiormente
interessa dal punto di vista della sopravvivenza delle varie
specie animali) l’immagine, ricostituita con minore accuratezza
nei dettagli, si impoverisce in distanza, in luminosità e in
profondità, consentendo solo l’individuazione dei pericoli più
vicini e quindi maggiormente insidiosi nel breve termine.
E’ come se il comandante di una nave, allarmato
dall’ammutinamento dell’equipaggio, puntasse il cannocchiale
sulla tolda, per sorvegliare i marinai, trascurando di
controllare il mare aperto.
L’intero sistema comincia allora a squilibrarsi: un cannocchiale
usato in modo così atipico serve a ben poco anche da vicino.
In questo processo un ruolo importantissimo è svolto
dall’agitazione: essa segnala che qualcosa non va, che un
pericolo incombe. A tale allarme possono far seguito due
differenti reazioni: fuggire o lasciarsi cadere come morti.
Entrambe hanno un loro senso.
Nel caso della fuga, guardare avanti serve ad individuare
eventuali ostacoli e a superarli con maggiore efficienza e
quindi con maggiori probabilità di sopravvivenza.
L’animale fuggitivo presenta una mobilità eccezionale e,
logicamente, non soltanto a livello oculare. Una gazzella
impaurita manifesta un comportamento nervoso e inquieto che si
riflette su tutto il suo apparato muscolare, a differenza di
animali che hanno sviluppato la difesa opposta, quella di
paralizzare completamente tutte le loro attività, simulando la
perdita stessa della vita.
In entrambi i casi, il ruolo degli occhi è importante, pena la
morte: chi fugge deve poter godere di una perfetta efficienza
visiva a distanze maggiori e chi si finge morto deve poter
bloccare i propri muscoli, compresi quelli oculari.
Possiamo riferire queste osservazioni alla realtà dell’uomo. A
grandi linee, un miope manifesta solitamente una personalità
bloccata, timida, paurosa, elusiva nei confronti della vita in
tutte le sue forme. Evitando di affrontare il mondo, il miope
tende a fissare davanti a sé un unico punto, localizzato in
genere ad una distanza molto ravvicinata e comunque percepito in
una maniera molto vaga, come vaga resta appunto l’idea di una
minaccia sempre incombente. Questa sensazione di pericolo
imminente costringe il miope ad un perenne stato di tensione,
che, dopo un certo periodo di tempo, finisce col non essere più
nemmeno avvertito, così come si perde la sensazione di rigidità
a livello oculare.
Ecco che il rilassamento non può più avere luogo e l’occhio del
miope rimane contratto e bloccato. Persino le saccadi
rallentano, fino a dar luogo al tipico "sguardo miope",
attribuibile ad un occhio che ha ormai perso la sua naturale
motilità.
Una reazione analoga si determina nell’ipermetrope, che tende ad
allontanare tutto da sé, dal proprio territorio e che riesce a
vedere meglio lontano, perché il suo interesse, la sua
strategia, è riuscire ad individuare il percorso di fuga
migliore.
Chiaramente siamo in presenza di reazioni di adattamento
all’ambiente, facilmente riscontrabili nei contesti più diversi.
La sensazione di pericolo, vero o presunto che sia, innesca uno
stato di tensione che può riflettersi a livello oculare: ciò
spiega perché il dr. Bates esorta innanzitutto a limitare gli
sforzi, al fine di eliminarli, e di esercitare in vari modi la
memoria, la qualità principale da sviluppare. La stessa
immaginazione non è perfetta se non lo è la memoria, perché
l’immaginazione è rielaborazione di contenuti mnemonici.
Da notare che in tutti gli scritti sulla memoria, il dr. Bates
chiarisce che il ricordo di cose complicate deve essere evitato
in quanto, immancabilmente, induce uno sforzo di tipo
intellettuale, mentre, al contrario, occorre esercitarsi su
elementi semplici, come colori e immagini vivide, senza mai
rievocare simultaneamente due parti dello stesso oggetto. Egli
sottolinea, ad esempio, che ricordare due cime innevate, bianche
allo stesso modo, causa sforzo e persino dolore. Le due cime
possono essere viste, in memoria, una per volta passando
dall’una all’altra e ricavando così un beneficio. Due angoli di
uno stesso pavimento non possono essere visti contemporaneamente
e ciò non è possibile nemmeno in una rappresentazione mnemonica,
se non passando alternativamente dall’uno all’altro.
Sempre in un suo scritto, il dr. Bates racconta di essere
riuscito a fare ricostruire una nitida immagine mentale ad un
soggetto incapace di ricordare la bandiera americana,
semplicemente suggerendo di visualizzare separatamente singole
parti di essa.
Ecco individuato uno splendido modo per allenare e sviluppare la
memoria: essa vuole semplicità e immediatezza per poter
funzionare in maniera ottimale. E’ sufficiente perciò guardare,
anche nella propria mente, una singola parte per volta di quello
che si osserva o si ricorda, al meglio possibile. E questo anche
nel caso delle lettere, che tutte le persone con problemi
visivi, sebbene indossino occhiali, ricordano male e sfocate.
Se è così (e lo è) dobbiamo concludere che non è sufficiente,
per correggere la memoria delle lettere, guardarle come possiamo
fare attraverso gli occhiali. Ed esiste un motivo logico.
Con gli occhiali vediamo una lettera tutta insieme e ciò
costituisce uno sforzo, che si ripercuote sulla memoria, la
quale a sua volta danneggia la visione. Questo processo ci
porta, di anno in anno, ad indossare occhiali sempre più forti,
che pur aiutando l’occhio danneggiano però la memoria. I miopi
che indossino i migliori occhiali di questo mondo avranno sempre
rappresentazioni e persino sogni sfocati.
La memoria è il tramite che consente alle sensazioni del mondo
esterno di trasformarsi in percezioni e poi in idee; ma poiché
le sensazioni vengono a noi dai nostri organi di senso, la
medicina moderna ha finito col concentrasi erroneamente soltanto
sulla funzionalità e ricettività di questi ultimi, trascurando
completamente il mezzo che elabora in noi le sensazioni, cioè la
memoria.
Allenare e sviluppare la memoria produce una serie di benefici
effetti: con la vista migliorano anche gli altri organi di senso
e il modo stesso in cui gestiamo il nostro rapporto con il mondo
esterno e con la nostra personalità.
Nicolò Sportaro